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Le notizie di stampa fanno intravedere un’offensiva dei petrolieri per proporre attività estrattive nella nostra Regione.
E’ ovvio che la scelta è politica e compete agli amministratori regionali a nazionali.
Quello che non dovrebbe essere accettato è la mistificazione della realtà.
E’ scientificamente corretto parlare di “Coltivazione dei giacimenti e la tutela ambientale”:?
Oppure si tratta di una frase “ambigua” che può lasciare intendere che coltivare petrolio è come coltivare vegetali e, dunque,, non c’è pericolo per l’ambiente.
Forse conviene essere più diretti ed espliciti.
Si tratta di estrazione di un petrolio fangoso, che deve essere necessariamente depurato “in loco” dalla componente solforosa, altrimenti è intrasportabile perché altamente corrosivo.
Dunque cosa c’entrano l’estrazione e la raffinazione del petrolio con la salvaguardia ambientale? Nulla! E’ una contraddizione in termini. E’ una pratica che, oltre ad assestare un colpo mortale alla vocazione turistica dell’Abruzzo, mina la salubrità del nostro habitat e di quello dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Vediamo di esssere logici ed ordinati.
Cosa accade al petrolio abruzzese una volta portato in superficie?
Occorre subito precisare che si tratta di petrolio di tipo ”amaro”, ossia molto melmoso, poco fluido e abbastanza corrosivo per cui è difficile da trasportare, perché corrosivo per gli oleodotti e per le paratie delle navi-cisterna.
Per tale motivo deve essere, appunto, “coltivato”.
Cerchiamo ora di capire in cosa consiste questa coltivazione.
Le caratteristiche “non commerciali”, dovute alla grande quantità di zolfo coniugato al petrolio estratto, renderanno necessario un processo di idro-desolfurazione (separazione del petrolio dallo zolfo) che dovrà necessariamente avvenire già nell’area di estrazione.
Poco male dirà qualcuno, se si toglie il fango e resta il petrolio.
Male, invece, perché la legge della conservazione della massa (Legge di Lavoiser) enuncia che “In una reazione chimica, la somma delle masse delle sostanze di partenza è pari alla somma delle masse delle sostanze che si ottengono dalla reazione”. In altre parole: in natura nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
Per la legge di Lavoiser, quindi, tutto lo zolfo estratto col petrolio, e da quest’ultimo separato, non potendo sparire, verrà immesso nell’atmosfera sotto forma di idrogeno solforato (H2S), di biossido di zolfo (SO2), di nitriti (NOX), di monossido di carbonio (CO), di polveri fini e ultrafini e di composti volatili organici.
E’ certo, perciò, che queste immissioni provocheranno un inquinamento ambientale, così come definito, ai sensi del DPR 203/88 ("ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell'aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di uno o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell'aria, da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell'uomo, da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell'ambiente, alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi e i beni materiali pubblici e privati").
Ed è utile ricordare che La formazione di solfati, da ossidi di zolfo può avvenire a distanze superiori a 300 km appena 12 ore dopo l’emissione (Guidelines for Air Quality, WHO, Geneva, 1999).
Gli esseri umani esposti a tali “veleni” subiranno danni ACUTI (all’apparato respiratorio, alle congiuntive o intossicazioni) e CRONICI (all’apparato cardio-respiratorio, alla vescica e all’encefalo).
I danni alla salute umana sono disposti in una “piramide degli effetti acuti” che incide pesantemente sulla qualità e sulla lunghezza della vita di una fascia espressiva della popolazione.



Gli inquinanti atmosferici agiscono in modo differente a seconda della tipologia della popolazione. I rischi maggiori sono per i bambini, che mostrano aumento di incidenza di asma e di crisi asmatiche, per gli anziani, per le persone affette da malattie cardiache, polmonari e renali, per i diabetici, per le persone che lavorano o fanno sport all’aperto e per gli utilizzatori di alcuni farmaci.
L’inquinamento atmosferico è in grado sia di scatenare crisi asmatiche negli adulti e nei bambini, sia di essere alla base della stessa insorgenza della malattia.
Uno dei maggiori responsabili, forse il più importante, di queste patologie è rappresentato dalle polveri sottili o particolato (PM), che sono una miscela di sostanze organiche e inorganiche di dimensioni ridottissime che restano sospese nell’aria.
La pericolosità per la salute umana del PM è inversamente proporzionale diametro delle particelle che lo compongono.
La maggior parte del PM10 presenti nei fumi vengono trattenute dai filtri, mentre il PM2.5 passano nell’atmosfera.
Il PM2.5 prodotto dalla combustione, denominate particelle liquide o solide di solfato o nitrato, si formano in aria a partire dalle emissioni di S02 e NO (Particolato secondario). L’entità di trasformazione delle emissioni del PM2.5 dipende dal clima e dall’altitudine della sorgente di emissioni. E’ stato calcolato che, mediamente, circa la metà delle emissioni si trasforma in PM2.5.
Non ci sono studi che indichino una soglia di sicurezza per il PM2.5.
Gli studi epidemiologici su grandi popolazioni non hanno identificato una concentrazione-soglia al disotto della quale il PM2.5. non produce danni alla salute. E’ verosimile che la “variabilità biologica” (“suscettibilità genetica” individuale) della popolazione, fa sì che alcuni soggetti siano a rischio anche a basse concentrazioni di PM.
Studi autorevoli prevedono che le attuali concentrazioni di inquinanti in Europa, si tradurranno in una marcata diminuzione dell’attesa di vita (Report on WHO Working Group, Bonn 2003).
Lo stesso Working Gruppo, in un’analisi condotta nel 2005, conclude ribadendo che l’esposizione a PM aumenta la mortalità per tumore polmonare, senza, tra l’altro, essere in grado di indicare una soglia (concentrazione) di non pericolosità (analogamente a quanto accade per il fumo di sigaretta: chi è in grado di stabilire con certezza quante sigarette il giorno si possano fumare senza correre rischi di danni alla salute?).
Una porzione del PM particolarmente pericolosa è costituita dalle NANOPARTICELLE (il particolato ultrafine o PM0.1).
Il meccanismo d’azione infiammatorio del PM0.1, che è particolarmente patogeno per la salute umana, deve essere ancora completamente compreso. Questa necessità nasce dalla consapevolezza che al momento non esistono filtri in grado di bloccare particelle di diametro inferiore a 0,2 micrometri e che gli strumenti di misura comunemente usati per le polveri non sono in grado di rilevare tali nanopolveri, essendo necessari strumenti basati su tecniche di rilevamento differenti.
Allo stato attuale, alcune evidenze permettono di affermare che questo tipo di PM è veramente pericoloso non solo a livello polmonare, ma anche a carico del sistema cardiovascolare, cerebrale ed epatico.
Il passaggio di particelle di PM0.1 dagli alveoli polmonari al sangue circolante e la loro successiva localizzazione nei parenchimi epatici e vescicali, sono stati dimostrati già dal 2002 (Nemmar et al. Circulation 2002; 105:411). Gli effetti di questa migrazione si traducono in “insulti” e stress ossidativi sulle cellule, con possibilità di mutazioni carcinogenetiche e, in ultima analisi, con aumento d’insorgenza di neoplasie epatiche e renali, oltre che polmonari.
La migrazione dalle vie aeree al sangue può innescare alterazioni “a cascata” che iniziano dall’aumentata viscosità e coagulabilità plasmatica, per arrivare alla formazione di trombi e quindi alla possibilità di eventi ischemici cardiaci, come angina e infarto miocardico (Seaton et al The Lancet 1995; 345:176-178.). Sono stati individuati anche i meccanismi cellulari e le cascate di eventi attraverso i quali si arriva all’infarto miocardico, partendo dalle nanoparticelle (Brook et al. 2004. Air Pollution and Cardiovascular Disease. American Heart Association).

Il PM0.1 è in grado di raggiungere il cervello dopo essere stato inalato, come dimostra un lavoro scientifico del 2004 (Oberdarster et al. Traslocation of inhaled ultrafine particles to the brain. Inhalation Toxicology. 2004 Nature.)
Partendo da quest’osservazione è stato suggerito l’ipotesi di un rapporto di diretta proporzionalità tra maggiore dell’industrializzazione, inquinamento da nanoparticelle e aumento d’incidenza della malattia di Alzheimer (Comunicazione della Johns Hopkins School of Public Health, 2007).
In conclusione si può scegliere di estrarre e raffinare petrolio in Abruzzo sapendo che lo si fa col rischio di danneggiare significativamente la salute umana delle attuali e future generazioni.

Lanciano, 10.02 2011

Professor Domenico Angelucci

Docente di Anatomia Patologica Università “G.D’Annunzio” Chieti
Responsabile del Registro Tumori della Provincia di Chieti


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